Martha Nassibou

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Memorie di una principessa etiope

«Un libro meraviglioso che ha il grande pregio di condurci in un mondo del tutto sconosciuto a noi occidentali, quello complesso dell’aristocrazia etiopica degli anni Venti e Trenta.»
 
Angelo Del Boca, Storico e Autore


« Questo di Martha Nassibou è un toccante documento di un passato assai poco noto che però colpisce ancor più proprio per il tono e per la forma letterari, che farebbero scomodare il film 
La vita è bella. Questo Memorie di una principessa etiope  andrebbe letto nelle scuole e raccontata agli scolari italiani odierni, coetanei di Martha, per capire - anche se nel registro consapevolmente scelto della fiaba - cosa furono il fascismo, il colonialismo, il razzismo ».

Nicola Labanca, Professore all’Università di Siena
 

«Agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso il Ghebì, il palazzo del nobile Nasibù Zamanuel svetta sontuoso nel centro di Addis Abeba. Circondato da un parco di cinquantamila metri, con alberi di alto fusto e piante ornamentali fatte giungere da ogni parte del mondo, il Ghebì è composto da un’infinità di camere, elegantemente arredate con mobili in stile Luigi XVI e Chippendale, porcellane di Sèvre, immensi arazzi di Beauvais. Ottanta maggiordomi, domestici, cuochi e giardinieri provvedono alla cura della casa, sotto lo sguardo vigile del degiac Nasibù, bello come un dio con i suoi 185 centimetri di statura, il fisico da atleta, il volto attraente e sereno, le sgargianti divise da generale.

Nella vita del degiac, tutto sembra tingersi di prodigioso e fiabesco: da come ha impalmato la giovanissima Atzede Mariam Babitcheff dopo una gara sfrenata nell’ippodromo di Janehoy-meda alla presenza del reggente, ras Tafari Maconnen, a come l’ha condotta in pellegrinaggio in cima al monte Managhescia, dove il santo eremita Abba Wolde Mariam ha predetto alla sposa la nascita di ben cinque figli.

Un giorno di ottobre del 1935, tuttavia, la bella fiaba termina bruscamente. Per ordine di Benito Mussolini, le forze armate italiane invadono l’Etiopia da nord al sud, senza alcuna dichiarazione di guerra.
Il degiac Nasibù combatte valorosamente per difendere la sua civiltà, quell’antica civiltà coptortodossa che fa dell’Etiopia una terra cristiana nel cuore dell’Africa. Le forze sono però troppo impari, e il conflitto segna la fine dell’Impero d’Etiopia e dello splendore dei Nasibù.

Il 21 giugno del 1936, è arrestato Ivan Babitcheff, il suocero di Nasibù. Il 19 ottobre, il degiac si spegne in una clinica di Davos. Nei mesi successivi tutti i Nasibù sono costretti all’esilio.

A più di sessant’anni dagli avvenimenti, Martha Nasibù, figlia del degiac Nasibù, racconta l’incredibile vicenda della sua famiglia condotta in Italia sul finire del 1936 e mantenuta in cattività sino all’agosto del 1944. Otto anni di esilio nei luoghi di «villeggiatura» di Mussolini. Otto anni di esilio per la sola colpa di essere moglie e figli del degiac Nasibù Zamanuel, che si era comportato in guerra con estrema correttezza, non certo ricambiata dal «viceré» Rodolfo Graziani. Preziosa testimonianza storica, il libro illumina il mondo dell’aristocrazia etopica «in bilico fra le suggestive eredità del feudalesimo e le forti aspirazioni alla modernità» (Angelo Del Boca).

Un libro meraviglioso che ha il grande pregio di condurci in un mondo del tutto sconosciuto a noi occidentali, quello complesso dell’aristocrazia etiopica degli anni Venti e Trenta.»

Angelo Del Boca

 

 

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